SINODO DALLE GENTI PER UNA NUOVA PENTECOSTE
Il 1° aprile si è conclusa la prima fase del Sinodo Minore, con la consultazione di parrocchie, associazioni, e in generale di varie realtà sia ecclesiali che cittadine.
Per conoscere meglio la sfida che il Sinodo rappresenta per le nostre comunità e per la Chiesa ambrosiana abbiamo chiesto a don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei migranti della Diocesi di Milano e segretario della Commissione di coordinamento per il Sinodo “Chiesa dalle genti” di aiutarci a cogliere l’importanza di questo appuntamento sinodale.
Nella tua veste di responsabile dell’Ufficio della Pastorale per i migranti, come vedi questo lavoro sinodale che sta coinvolgendo varie realtà diocesane, anche di stranieri?
E’ una grande occasione per prendere coscienza di come in questi ultimi decenni la Chiesa di Milano, pur restando indiscutibilmente «ambrosiana» stia diventando sempre più «cattolica», cioè universale. E’ una esperienza di Pentecoste, con tutte le fatiche dovute all’incontro di tradizioni e mentalità diverse, ma anche entusiasmante perché è un’occasione inedita di arricchimento reciproco.
Nelle nostre riflessioni per il Sinodo è emerso che spesso lo straniero, anche cristiano, viene considerato oggetto di accoglienza, beneficiario di aiuti, ma non ancora collaboratore alla pari per delineare una pastorale che sia inclusiva.
Come è percepito il sinodo dalle comunità di cristiani provenienti da altri paesi? si sentono coinvolti? Si sentono a casa propria nelle nostre comunità o preferiscono le comunità etniche?
Intanto le Comunità etniche sono Comunità (in alcuni casi vere e proprie Parrocchie) pienamente diocesane. Un primo obiettivo del Sinodo sarà proprio il superamento nella percezione comune – e nella pratica pastorale – della contrapposizione noi/loro. Quando infatti diciamo «loro» ci stiamo rivolgendo indifferente al resto dell’umanità (circa sette miliardi di persone) come fossero un tutto omogeneo. Ma anche quando diciamo «noi»: noi chi? Per cultura, valori, prospettive, fede… anche i nativi italiani non costituiamo un tutto omogeneo, tanto più nell’epoca della globalizzazione e dei Social.
Non si tratta pertanto di colpevolizzare nessuno, né di forzare i tempi di una reciproca «integrazione», ma di una presa di coscienza di quanto il mondo e la Chiesa siano già cambiati e avviare processi.
Si parla spesso di come l’immigrazione ha cambiato la società, e sono davanti agli occhi di tutti i vari schieramenti. L’immigrazione ha cambiato anche il volto della chiesa?
La mobilità umana nella nostra epoca (che è molto più del semplice fenomeno immigratorio) sta cambiando il mondo e la Chiesa, forse fatichiamo ad accorgercene e soprattutto ad accettarlo. Ma mondo e Chiesa starebbero cambiando a prescindere dai Migranti. Il Novecento è stato il secolo breve: l’accelerazione tecnologica, scientifica e culturale ci ha colto impreparati. Per usare una felice espressione di Ernesto Balducci, si tratta di formare «l’uomo planetario». Piaccia o no, indietro non si può tornare. Negarlo significherebbe non avere coscienza della realtà o mentire in maniera strumentale. Francamente non saprei dire quale delle due cose sarebbe peggio.
Che immagine di Chiesa pensi possa uscire dal Sinodo?
La Chiesa della Pentecoste, come dono dello Spirito e compito dei credenti.
Daniela Sangalli