MARTINI E I GIOVANI, LE PAROLE DI SILVIA MOROSI

E i giovani lo seguivano: il Cardinale Martini e le nuove generazioni

di Silvia Morosi

Silvia Morosi: "Martini entrava in relazione con i giovani"
Silvia Morosi:
“Martini entrava in relazione con i giovani”

Pensando in questi giorni all’incontro di questa sera, mi sono interrogata non solo su cosa dire, ma anche su come raccontare un tema tanto ampio come quello del rapporto tra il Cardinale Martini e i giovani.  A una settimana di distanza da quello che sarebbe stato il suo 87esimo compleanno, il 15 febbraio, questa serata è un bel momento per ricordare chi per Milano e i giovani non è stato semplicemente un cardinale, ma un amico. Che ha lasciato con il suo magistero spirituale e civile un’impronta indelebile nella città.

 

Mi piace iniziare, allora, con un ricordo personale. Ho avuto la fortuna nell’estate del 2005, dopo la Maturità, di conoscere direttamente per alcuni giorni il Cardinale a Gerusalemme, in quella che è stata la sua seconda casa dopo Milano. La città dove, come spesso ripeteva, “sentiva di essere nato”. Ricordo l’emozione e i miei silenzi dei primi minuti, trovandomi di fronte una persona di una simile statura, non solo fisica. Avevo diciotto anni, ero alle prese con la scelta dell’Università, e anche a lui ho rivolto i miei interrogativi.  L’incontro di Gerusalemme racchiude quelle che erano le principali caratteristiche di Martini mentre parlava ai giovani: mettersi nei loro panni, parlare schiettamente, ragionare sulle difficoltà. Non guardandoli dall’alto e parlando come chi già conosce le risposte. Correndo il rischio di esporsi, di essere frainteso. Martini mi ha ricordato solo una cosa, uno dei messaggi a lui più cari:Il desiderio di essere felici è il sogno e il progetto più grande che portate nel cuore”.  L’ultima immagine che ho di lui è quella di un Uomo, ormai anziano, con un bastone in mano che lo teneva ancorato al quotidiano, e con il Vangelo nell’altra, con gli occhi sempre rivolti al cielo.

 

Il rapporto di Martini con i giovani è come un mosaico, ricco di tessere. Che ho provato a riassumere con le sue parole, perché possano risuonare qui e fare eco nei nostri ricordi.

 

Il primo punto è quello della relazione che intrattenne con i giovani. Martini sottolineò sempre come fosse necessario parlare con i giovani e non dei giovani. Considerando l’età giovanile non una problematica pastorale, ma una risorsa dove attingere la consapevolezza della fede. Così nel 2009 scriveva: “C’è un modo di parlare dei giovani che ci appare senza speranza e senza remissione: i giovani sono abulici, indifferenti, svogliati, viziosi, dediti solo al divertimento, alle sostanze eccitanti o all’alcol. Non è questa l’impressione che io ho dei giovani di oggi. Anzitutto non uso volentieri la categoria «giovani», categoria puramente biologica, che non dice di per sé nulla sulla realtà di queste persone. Preferisco guardarli più da vicino”.

 

Il Cardinale non parlava un linguaggio giovanilistico, ma toccava le coscienze dei singoli portatori  di attese e aspirazioni. Egli riconosceva tre tipi di giovani: quelli alla deriva,  quelli che pensano e quelli che decidono. I primi andavano scossi dal torpore. I secondi andavano stimolati se avevano inquietudini. Gli ultimi avevano nel cuore dei valori forti e sapevano sacrificarsi per essi. “Sono i giovani che troviamo nelle varie iniziative di volontariato, che si decidono presto per una vita di dedizione agli altri”, diceva Martini. Sono giovani che, e faccio mia la felice espressione di Benedetto XVI, hanno saputo «osare l’amore».  “A questi giovani dico: voi siete una minoranza, ma una minoranza qualificata, capace di guidare e di trascinare altri. L’avvenire è sempre stato di minoranze forti, non di masse passive attratte solo dal gusto di ciò che piace. Questi giovani vanno aiutati, sostenuti, incoraggiati. Con loro si può guardare avanti, ma a condizione che si lasci loro il giusto spazio, sia di azione che di parola, e che siano riconosciuti come veri protagonisti del nostro vivere sociale”.

 

Il secondo punto è il legame che Martini volle instaurare tra i giovani e i Testi Sacri. Egli seppe dare nuova linfa alla Lectio Divina e alla Scuola della Parola. In Duomo si radunavano centinaia di persone non per un’esegesi, ma per un tentativo di leggere insieme la Parola. Martini si faceva alunno e maestro, organizzando un momento di lettura comune che non spaventava per l’autorevolezza di chi lo presiedeva, ma un appuntamento che affascinava perché capace di intercettare le domande di credenti e non. Intuiva e confidava ai suoi giovani che era tempo di svincolarsi da una fede semplice, ma di aprire la mente e il cuore alla scelta per Dio. Incoraggiando attraverso le celebrazioni della Traditio e della Redditio Symboli chi si affacciava sul mondo universitario o lavorativo a professare la sua fede in Dio, a farlo con saggezza e con la scrupolosità di una Regola di vita scelta, pregata, consegnata. Stimolandoli a trovare luoghi nella quotidianità dove vivere il Vangelo con autenticità. Le domande degli incontri sulla Parola erano: “Cosa dice il testo? Cosa mi dice il testo? Cosa rispondo?”. Martini invitava, infatti, a dare una risposta personale al testo, per dare un’impronta autentica alla propria vita di fede.

 

Il terzo punto è quello del protagonismo. Il Cardinale era ben consapevole dei mutamenti del mondo ai quali i giovani non si sottraevano ma di cui diventavano interlocutori privilegiati. Come era consapevole dell’incertezza del futuro. E chiedeva ai giovani di non vedere la propria vita come un rischio, ma come una vocazione. Facendo sue le parole del Giubileo del 2000 di Giovanni Paolo II, esortò i giovani ad essere protagonisti cristiani del nuovo millennio. E nell’Avvento del 2000 disse: “A tutti voi io mi rivolgo per dirvi con lo sguardo di tutta la Chiesa che vedo in voi le sentinelle del mattino in quest’alba del terzo millennio”. Accogliendo e trasmettendo speranza anche in un momento buio.  “Sentinelle” che si fanno carico di annunciare alla Chiesa di che colore è il giorno che viene. E di farlo anzitutto attraverso l’ascolto dei loro compagni, prima di tutto a coloro che non vanno in Chiesa. “Se riesco a mostrare al giovane che le domande interiori hanno in una pagina biblica una risposta concreta, incisiva, inattesa e sorprendente, ho raggiunto già un obiettivo importante”, diceva.

 

Martini aveva una sconfinata fiducia nella capacità dei giovani, anche di quelli lontani, di realizzare un mondo migliore. Sottolineando come fosse importanti prenderli sul serio, come collaboratori a pieno titolo e non come persone in errore. E lo faceva citando le parole del profeta Gioele: «I vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni». Riconoscendo nei giovani un contributo fondamentale, soprattutto nei giovani più critici. “Nella ricerca di collaboratori dovremmo forse prestare attenzione innanzitutto a coloro che sono scomodi e domandarci se proprio questi critici non abbiano in sé la stoffa per diventare un giorno responsabili e alla fine sognatori. Responsabili che guidino la Chiesa e la società in un futuro più giusto e «sognatori» che ci mantengano aperti alle sorprese dello Spirito Santo, infondendo coraggio e inducendoci a credere nella pace là dove i fronti si sono irrigiditi”.

 

Martini chiedeva ai giovani di impegnarsi nella città, attraversandola non come luogo asettico, ma ridando senso alle diverse istituzioni, dalla Chiesa al Comune, riprendendo uno dei pensieri chiave dell’ex sindaco di Firenze Giorgio La Pira. Interrogandoli  a non esitare a porsi domande fondamentali: “Non rifiutarti di pensare, ragionare, riflettere: temi piuttosto chi volesse soffocare questa tua capacità”. Nella città delle differenze, invitava i giovani a essere costruttori di un ambiente a misura di sguardo, accogliente verso i deboli, gli onesti, i poveri, gli stranieri. Come missionari dei quotidiano, invitava i giovani a attraversare la città contemporanea con il desiderio di ascoltarla, di comprenderla, senza schemi riduttivi e senza paure ingiustificate, sapendo che insieme è possibile conoscerla nella sua varietà diversificata, nelle rete di amicizie e di incontri, nella collaborazione tra i gruppi e le istituzioni. “Favorite i rapporti tra persone che sono diverse per storia, per provenienza, per formazione culturale e religiosa. Possiate essere il fermento e i promotori di nuove “agorà” dove si possa dialogare anche tra coloro che la pensano diversamente in una ricerca appassionata e comune”, rispondeva al Sinodo dei giovani, nel marzo del 2002.

 

Martini seppe spiegare il Vangelo coniugandolo ai fatti contemporanei. Nei “Discorsi alla città”, in occasione della solennità di Sant’Ambrogio, erano sempre presenti riferimenti al mondo, per portare i giovani a interrogarsi sulla realtà: dalla riconciliazione rispetto ai duri conflitti degli anni Settanta all’accoglienza del diverso e dell’immigrato, dalle inedite prospettive di unità dell’Europa derivanti dagli eventi dell’89 europeo ai rapporti con l’Islam, alla legalità minacciata dall’ondata di corruzione.

 

Protagonisti dunque, senza però essere autoreferenziali. È del novembre 1986 il grande convegno diocesano ad Assago sul tema del “Farsi prossimo”, dove venne lanciata l’iniziativa delle Scuole di formazione all’impegno sociale e politico. Al Sinodo mondiale dei laici, sempre nello stesso anno, Martini tenne un intervento durissimo sulle degenerazioni dei movimenti, sulla loro autoreferenzialità rispetto alla Chiesa.

 

Nell’ottobre del 1999 partecipò al sinodo dei vescovi europei. Proprio a questo incontro evocò “il sogno di una Chiesa giovane” e propose la creazione di un nuovo Concilio per discutere sui problemi più spinosi, tra cui la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la questione della sessualità e la partecipazione dei laici nella disciplina cattolica del matrimonio. Con uno sguardo rivolto verso l’oltre, che cercava di individuare i percorsi futuri, in maniera profetica, ma ancorato alla Storia, intuendone i movimenti e le tensioni.

 

Da queste raccomandazioni derivava però anche un impegno richiesto agli adulti e alla Politica,  a cui chiedeva di occuparsi dei giovani “cittadini del mondo” e di arricchirli con valori solidi. Formando le nuove generazioni ad una cittadinanza attiva e consapevole di quello che la Gaudium et spes chiama “umanesimo della responsabilità”. Aiutare i giovani a dare significato alla vita. Non è sufficiente dare titoli di studio e lavoro, se sotto non ci sono motivi forti, solidali, impegnativi, degni di una vita vera. Agli adulti chiedeva di aprirsi ai giovani, comprendendo quali erano i loro interessi, ma anche le loro critiche e le loro richieste ai grandi. “Certamente il metodo giusto non è predicare alla gioventù come deve vivere per poi giudicarla con l’intenzione di cercare di conquistare coloro che rispettano le nostre regole e le nostre idee. La comunicazione deve cominciare in assoluta libertà, in caso contrario non è comunicazione. E, soprattutto, in questo modo non si conquista nessuno, caso mai lo si opprime”.

 

Consapevole della drammatica situazione lavorativa, in occasione della Giornata della Solidarietà scrisse un intervento che riletto a distanza di anni ci appare profetico. “La disoccupazione giovanile, per la sua ampiezza e la sua persistenza, è diventato uno dei principali mali del nostro tempo”. Essa rappresenta “un sintomo-emergenza di un complesso di nodi irrisolti della nostra convivenza civile nazionale ed internazionale”. Un’occasione, solenne, per lanciare un appello alle forze sociali e civili, a ciascuno secondo le sue responsabilità ed il suo ambito. Quello di Martini non era un generico intervento dal tono predicatorio. Era un’analisi puntuale che toccava punti cruciali: la scuola, la famiglia, le relazioni industriali, il Mezzogiorno. Né poteva sfuggire, al vescovo, la situazione dei lavoratori stranieri, definita “particolarmente dolorosa”. È vero, affermava il messaggio, che la scarsa offerta di lavoro va attribuita alle “profonde trasformazioni tecnologiche ed organizzative” ma è anche vero che la risposta non può essere la rassegnazione di “chi assiste ad eventi incontrollabili”. Martini ribadì la sua convinzione: l’economia non è “neutra”, e chi sostiene il contrario si nasconde dietro il dito del proprio interesse per il solo profitto. Le leggi dell’economia, afferma il vescovo, non possono essere considerate una variabile indipendente perché richiedono dei prezzi sociali. L’assenza di lavoro “può costituire terreno di coltura di fenomeni di marginalità e di devianza anche gravi”. E i giovani, più degli adulti, sentono l’ urgenza della questione. Alle famiglie chiese di affrancarsi dal culto esasperato del titolo di studi superiori, connesso al pregiudizio negativo per il lavoro manuale, “un costume radicato, questo, che spesso produce frustrazioni, sprechi di preziose risorse umane, sociali, economiche, di cui i ragazzi e le loro famiglie sono le prime vittime”. Insomma, basta con l’ utopia della “laurea di massa” e della scuola come “parcheggio di disoccupati”. Un’attenzione particolare rivolgeva ai precari, agli ex-carcerati, ai tossicodipendenti, per chiudere con gli stranieri: “A tutti chiediamo uno sforzo di comprensione delle drammatiche condizioni di chi, per il fatto di essere straniero, è oggetto di sospetto e talvolta di rifiuto”. Un appello e un richiamo alle Sacre Scritture: “Ricordati che anche tu fosti straniero in terra d’ Egitto”.

 

Un vecchio padre che incoraggia i figli ad avere fiducia nella vita. Chiudo riportando un proverbio indiano che il Cardinale amava citare. “La nostra esistenza si divide in quattro tempi: nel primo tempo si studia, nel secondo si insegna, nel terzo si riflette, nel quarto si mendica”. A una prima lettura il quarto tempo potrebbe sembrare strano. Invece credo sia stato il suo tempo più vero. Martini fu un mendicante, di infinito, di libertà, di ascolto. Un uomo capace di portare la Chiesa a liberarsi da potere, ricchezza, burocrazia, per approfondire con umiltà e pazienza nuovi cammini. Soprattutto per i giovani.