IL RAGAZZO DI VIA PADOVA…UN LIBRO DI QUARTIERE
Alla Festa di via Padova, fra centinaia di iniziative, il 17 maggio scorso è stato presentato il libro Il ragazzo di via Padova. Vita avventurosa di Jess il bandito, di Arnaldo Gesmundo e Matteo Speroni, prefazione di Antonio Di Bella, Milieu edizioni 2014.
Chi è Jess il bandito? È lo stesso autore, Arnaldo Gesmundo, nato in piazza Loreto nel 1930, e abitante con la famiglia di immigrati in via Arquà (e poi in via Padova 70), “in una casa di ringhiera senza servizi igienici privati: l’abitazione era un vecchio negozio in disuso, senza corrente elettrica, senza gas, senza riscaldamento. Il retro dava sul cortile e il negozio, sempre con la saracinesca chiusa, era la camera da letto per tutti. Non esistevano finestre”.
Gesmundo è stato un componente della banda che il 27 febbraio 1958 a Milano assaltò un furgone portavalori in via Osoppo, un fatto che venne ricordato dalle cronache come “la rapina del secolo”. Oggi insieme al giornalista del “Corriere” Matteo Speroni rievoca quei momenti tragici, il periodo storico che ha contrassegnato l’atmosfera torbida della Milano degli anni ’50-70, scossa dai colpi spettacolari ma cruenti delle bande armate e dalla violenza devastatrice del terrorismo.
Il nostro interesse per questo libro di memorie – che raccomando ai giovani ignari della storia del proprio quartiere – è rivolto alla vicenda umana del protagonista, che cerca di riscattare la propria condizione di partenza, ma con metodi sbagliati, invaghito da racconti balordi di facili guadagni, e destinato immancabilmente a scontare i suoi errori nelle case di pena di mezza Italia. “Ho vissuto la fanciullezza in una via famigerata, via Beretta ora via Arquà, dove nelle osterie si riunivano noti malavitosi…” Ma una cosa ci dice, quasi come un ammonimento: “Prima di giudicare i banditi come pericolosi criminali o come eroi romantici, bisognerebbe capire dove sono nati e cresciuti”.
Tuttavia la curiosità culturale che prende il sopravvento è quella rivolta alle pagine in cui si racconta la storia amara degli abitanti di via Padova, che hanno sopportato la durezza del regime fascista, la tragedia della guerra, gli stenti degli anni ’50.
1943: dopo il 25 luglio la milizia fascista scappa abbandonando le armi nelle caserme. I ragazzini vi entrano e rubano armi e bombe a mano che vanno a far scoppiare al parco Lambro. Poi, dopo l’8 settembre, “in via Padova sfilano i convogli tedeschi, il comando nazista di zona ha sede a Cascina Gobba”. Ricompaiono i fascisti. Gli ustascia occupano villa Turro. Sui muri vengono affissi manifesti con l’invito ai giovani ad arruolarsi nella RSI, pena l’arresto e la condanna a morte. Sui marciapiedi s’incontrano cadaveri di giovani antifascisti assassinati, recanti un cartello: “banditi”.
Nel 1944 avviene l’attentato di viale Abruzzi e la fucilazione di 15 prigionieri antifascisti in piazza Loreto il 10 agosto: “Andai subito là e vidi una scena orrenda. Era agosto e i morti giacevano ammucchiati sul marciapiede sotto il sole cocente…” Nel frattempo si patisce per la scarsezza di cibo, la “borsa nera”, gli sfollamenti. Di nascosto e nel timore si ascolta Radio Londra… Poi scoppiano le bomba di Gorla e Precotto il 20 ottobre 1944: 222 morti tra adulti e bambini.
Nel quartiere si formano clandestinamente i dirigenti della Resistenza. Albino Nicoli, abitante in via Padova 85, diviene una “figura importantissima della Resistenza milanese, punto di riferimento fondamentale nel quartiere di via Padova”. Il partigiano “Mustaccia”, ovvero Daniele Moroni, abitante anch’egli in via Padova 70, invece dopo il 25 aprile darà vita a una banda armata di rapinatori.
Dopo il 25 aprile 1945 la gente corre in piazza Loreto a vedere Mussolini fucilato… Di nuovo, nella caserma vicino a via Padova abbandonata dalla milizia fascista, si scoprono armi di ogni tipo, ma anche soldi, monete d’oro, fedi matrimoniali. Per pochi giorni Gesmundo diventa partigiano, armato e incaricato di vigilare sui prigionieri tedeschi. Poi partecipa a una breve sparatoria a Lambrate per liberare gli stabilimenti Innocenti dai militari tedeschi e dai fascisti.
Il decreto di amnistia voluto nel 1946 dal ministro Palmiro Togliatti condona la pena ai reati commessi dopo l’8 settembre onde accelerare il processo di pacificazione nel Paese. Ma il provvedimento non è condiviso da molti, tra i quali il nostro protagonista, che pensa “a tanti giovani reduci dalla guerra, dai campi di concentramento, dai gruppi antifascisti, che trovarono una città da ricostruire. Molte case erano distrutte dai bombardamenti, persino le cancellate dei giardini erano scomparse, perché il potere fascista aveva requisito il ferro, utile a costruire le armi”.
Alcuni partigiani che non accettano di riconsegnare le armi mantengono la clandestinità e danno vita a episodi di “improvvisata giustizia popolare” ai danni di ex-fascisti. Uno di questi gruppi, formatosi a Lambrate alla Casa del popolo di via Conte Rosso, diverrà famoso col nome di Volante Rossa. Un altro gruppo, composto da “pericolosi criminali milanesi”, sarà quello della banda Bezzi-Barbieri. Ezio Barbieri è chiamato il “bandito dell’Isola”. Sandro Bezzi sarà ucciso dalla polizia il 26 aprile 1946 in una sparatoria dietro casa sua, in via Morandi a Turro. Amico di Bezzi e Gesmundo è il “Mariolino di via Padova”, che con la sua banda ha deciso di vendicare l’amico Sandro. In via Padova compaiono scritte eloquenti: “W Mariolino”, “Sandro Bezzi sarai vendicato”.
Il 14 luglio 1948 l’attentato a Palmiro Togliatti “creò grande sconvolgimento e animazione nella Casa del popolo, di fronte a casa mia, e in tutta la zona: si capiva che c’era l’intenzione di riprendere le armi nascoste nelle cantine e nelle fabbriche… Ma Togliatti chiese a tutti di mantenere i nervi saldi: “State calmi, non perdete la testa”. Una vena di ribellismo circolava ancora nel partito, ma era arrivato il momento della riconciliazione e della consegna delle armi.
Intanto Milano negli anni ’50 si riempie di “miseri braccianti agricoli in cerca di sopravvivenza, degni precursori degli odierni migranti del sud del mondo…” Arnaldo oggi ha più di 80 anni e ripercorre via Arquà, via Clitunno, via Padova… “Si ferma, mi stringe il braccio: Qui è cambiato tutto, ma è sempre la stessa cosa. I poveri come noi, immigrati e figli di immigrati, ora sono loro.”
Ferdy Scala