DISARMIAMO GLI ANIMI, ARMIAMO LA RAGIONE
Intervento di C.M. Martini, 29 aprile 1999
Come vescovo avverto l’urgenza di contribuire ad una educazione alla pace: solo scrutando le ragioni misteriose del male nella storia e nel cuore dell’uomo possiamo comprendere perché la pace sia problema sempre aperto. Il riconoscimento del male in tutte le sue forme, questa immane potenza del negativo che ha nella guerra la sua manifestazione più drammatica, non deve però indurci al pessimismo paralizzando la fiducia nelle risorse positive dell’uomo. Nasce di qui la tensione al dialogo come via privilegiata alla pace: “Ogni uomo, credente o no, pur restando prudente e lucido circa la possibile ostinazione del suo fratello, può e deve conservare una sufficiente fiducia nell’uomo, nella sua capacità di essere ragionevole, nel suo senso del bene, della giustizia, dell’equità, nella sua possibilità di amore fraterno e di speranza, mai totalmente pervertiti, per scommettere sul ricorso al dialogo e sulla sua possibile ripresa” ( Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata della pace 1983). Questa fiducia nell’uomo è anzitutto fiducia nelle risorse della sua coscienza, soprattutto di quanti patiscono ingiustizia. Bisogna puntare “sulle forze di pace nascoste negli uomini e nei popoli che soffrono…così da sottoporre le forze oppressive a delle spinte efficaci di trasformazione, più efficaci di quelle fiammate di violenza che in genere non producono nulla, se non un futuro di sofferenze ancora più grandi” (Messaggio per la Giornata della pace, 1980). Alla forza della coscienza e non alla violenza è affidata la causa della pace.
Sul versante politico, la pace richiede strutture politiche sovranazionali davvero efficaci nell’arginare le possibili sopraffazioni.
Era già questo l’auspicio di Paolo VI nel suo discorso alle Nazioni Unite nel 1965: “Il bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti che ad opera di Poteri pubblici aventi ampiezza, strutture e mezzi delle stesse proporzioni, di Poteri pubblici cioè, che siano in grado di operare in modo efficiente sul piano mondiale. Lo stesso ordine morale quindi domanda che tali poteri vengano istituiti…Chi non vede il bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un’autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?”.
In questi giorni di guerra ripenso al lungo, difficile cammino della coscienza cristiana durante due millenni nel giudicare la guerra e gli armamenti. Prima delle armi nucleari e chimiche il principio della legittima difesa poteva in certi casi condurre a parlare di guerra giusta. Ora invece si è convinti della tragica inutilità e immoralità di una guerra condotta con questi nuovi tipi di armamenti. Dobbiamo augurarci che la coscienza critica dei cristiani e di ogni uomo faccia ancora dei passi ulteriori. Intanto occorre che la mobilitazione contro il male sia accompagnata da un’opera progettuale, che dia nuova consistenza alla pace, alla sicurezza, alla stessa dissuasione. In tale linea: una ricerca di giustizia, di eguaglianza, di solidarietà, il potenziamento del dialogo, dei sistemi democratici, degli organismi di controllo internazionali. La stessa dissuasione dovrebbe fondarsi non già sulla minaccia rappresentata dagli arsenali, bensì su quelle risorse ben più degne dell’uomo che sono la solidarietà internazionale, le sanzioni giuridiche, l’isolamento di chi fa ricorso alla prepotenza e alla forza. Rassegnarsi alla logica della guerra o della dissuasione armata vuol dire accettare la spirale perversa degli armamenti e finire in una trappola mortale per l’umanità.
Dal punto di vista progettuale, accanto alla proposta di studiare forme efficaci di difesa civile non violenta, sta il riconoscimento del valore della obiezione di coscienza, la denuncia di certe forme di ricerca scientifica subalterne a logiche di distruzione, lo scandalo rappresentato dal divario crescente nord-sud, alimentato dal commercio delle armi. Sta l’appello alla mediazione politica come strumento di composizione dei conflitti; l’appello a disarmare gli animi, armando la ragione. l’appello a credere nella parola: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo” (Isaia, 2,4).