ATTRAVERSARE LA CITTA’. La testimonianza di una coppia di laici che ha conosciuto da vicino Martini
La redazione ringrazia di cuore Ornella Bonetti e Federico Zanda che ci regalano parole importanti per narrarci il legame tra Carlo Maria Martini e la città di Milano. E’ la testimonianza di chi ha conosciuto da vicino l’uomo, prima che l’Arcivescovo e cardinale.
La Cattedra dei Non Credenti del 1995 Martini la dedicò alla “città”, alle sue benedizioni e alle sue maledizioni. Nel suo intervento conclusivo raccontava come viveva lui queste dimensioni: Martini sentiva di appartenere alla città, senza nostalgie o desideri di fuga; ma talvolta, quasi sopraffatto dai dolori e dalle angosce dei suo abitanti, ne sperimentava il senso di frustrazione e di impotenza. Per la Bibbia, diceva, la vita dell’uomo si svolge nella città: a cominciare da quella fondata da Caino, l’omicida, per giungere, dopo una lunga serie di città piene di violenze e di paure a Gerusalemme, città di tutti, immensa e dalle porte sempre aperte. Non prendeva le distanze dalla città. L’attraversava volentieri, fin dal giorno del suo ingresso, a piedi, camminando tra la folla. Quando non potè più andare liberamente in libreria o in metropolitana,continuava però ad osservare la gente dai finestrini dell’auto e si scopriva a fare il tifo per chi correva alla fermata del tram che ripartiva. Voleva capire, dal basso. Per questo scelse di frequentare un piccolo gruppo di famiglie giovani, coi bambini: li incontrava in una casa come tante. Voleva vedere com’era una casa milanese “normale”. Amava la vita della città. Ricordava che da bambino, a Torino, amava il cinema Statuto, vicino a casa, e avrebbe desiderato farlo suo, da grande.
Non fuggiva da scienza, tecnologia, informatica. Gli piaceva guidare e amava le moto. Anche il rumore della città non gli dispiaceva e gli ricordava lo sferragliare dei tram di Torino. Martini, nonostante la sua statura sia fisica che intellettuale, non creava sensazione di distanza: si percepiva chiaramente che non apparteneva all’ apparato, al palazzo del potere. Questo aspetto gli veniva riconosciuto, specialmente dal mondo laico che vedeva in lui un credente senza compromessi, ma certo senza chiusure.
L’ autorevolezza di Martini valicava ampiamente il confine del suo mandato ecclesiale; la città era per lui la realtà della convivenza umana che interroga e provoca sia il credente che il non credente. Non ebbe paura di affrontarne le sfide. Fu così che a lui le Brigate Rosse consegnarono le armi in arcivescovado, il 13 giugno 1984. Coltivava un’idea di città, che continua a interpellarci: fatta di spazi che custodiscono il silenzio, e piazze, agorà per il dialogo. Poi vie, reti di relazioni che favoriscano amicizia e reciproca accoglienza, Infine: luoghi o situazioni di ospitalità. Un sogno di convivenza civile che condivideva con la cittadinanza nei suoi discorsi di Sant’Ambrogio. Non demonizzava mai la città: alle sue “maledizioni” opponeva una visione di speranza: in “Alzati, và a Ninive la grande città!” ricorda che ogni città è un “fatto umano”, ognuna ha un’anima e un destino, misterioso e profondo. Con questa visione incoraggiava i giovani a “camminare” a loro volta per le sue vie: “Non rinchiudetevi mai, la Chiesa è aperta al mondo.”