Le Smart Cities e la nuova organizzazione sociale
Fin dalle origini, per istinto di sopravvivenza, l’uomo tende ad aggregarsi in comunità. Aristotele definiva l’essere umano come “animale sociale”, naturalmente orientato a creare legami con gli altri, costituendosi in società. Oggi, il paradigma rivoluzionario della Smart city torna ad esaltare l’elemento umano all’interno delle infrastrutture e dei processi sia sociali che economici e produttivi, introducendo una struttura di valori concentrata su tre principi generali:
1) Partecipazione: Esigenza distribuita di un ruolo attivo e propositivo nella comunità;
2) Collaborazione: Condivisione delle risorse e Progettazione distribuita;
3) Comunità: Forte senso di unione e di responsabilità.
Il concetto di Stato come unità politica, economica e produttiva, ha allontanato e invecchiato, nel corso della storia recente e contemporanea, l’idea del legame sociale tra individui come primo motore di produttività, organizzazione e efficienza. Accentrando le decisioni e le risorse, l’organizzazione statale si allontana dai problemi reali dei suoi cittadini.
Il fenomeno dell’urbanizzazione di massa, che ha portato il 50% degli abitanti mondiali all’interno delle metropoli, riporta alla luce l’esigenza di un controllo del territorio direttamente da parte di chi lo abita, e quindi a una localizzazione del potere decisionale. Questa rivoluzione in ambito organizzativo era stata predetta da tempo a livello di organizzazione del lavoro: dai tempi degli esperimenti di Hawthorne di Elton Mayo, i sociologi e gli studiosi di organizzazione compresero le potenzialità produttive del lavoro in team e dei rapporti sociali tra le persone (“the human factor”), a scapito dei metodi gerarchici e fortemente specializzati propri delle teorie classiche riconducibili al modello fordista. Oggi, gli autori di organizzazione aziendale prevedono sviluppi sempre su questo filone, fino a determinare vere e proprie “organizzazioni cellulari”. Le cellule di qualsiasi organismo vivente posseggono tutte le risorse per vivere da sole, ma operando di concerto con le altre cellule riescono a svolgere funzioni più complesse. Allo stesso modo le organizzazioni saranno composte da cellule organizzative, che possono esistere anche da sole, ma che interagendosi con altre cellule compongono un organismo più efficace ed efficiente.
Come riportare queste teorie, sviluppate nel contesto aziendale, all’interno della società?
Il primo a sviluppare una teoria sistematica in questo senso fu Pierre-Joseph Proudhon, sviluppando la teoria dell’organizzazione sociale come una federazione di piccole unità prive di potere centrale. La competitività degli stati non dipende più dalle grandi amministrazioni centrali, ma dall’energia e dall’efficienza delle sue comunità. Il concetto di comunità è ben spiegato e sviluppato da Adriano Olivetti, grande personalità del dopoguerra italiano, innovatore e teorizzatore in ambito sia industriale che sociale. Per Olivetti “la Comunità sarà un valido, nuovo strumento di autogoverno, essa nascerà come consorzio di comuni.
E le Comunità, federate, daranno luogo, esse sole, alle Regioni e allo Stato”(Il cammino della Comunità, Edizioni di comunità).
Come raggiungeremo questo nuovo modello di società? La spinta sicuramente non può venire dall’alto, seguendo le vie della gerarchia statale centralizzata, ma verrà dai cittadini stessi e dal loro entusiasmo e voglia di migliorare il contesto dove abitano e hanno radici. Bakunin diceva: “Non abbiamo l’intenzione né la minima velleità di imporre al nostro popolo oppure a qualunque altro popolo, un qualsiasi ideale di organizzazione sociale tratto dai libri o inventato da noi stessi ma, persuasi che le masse popolari portano in se stesse, negli istinti più o meno sviluppati della loro storia, nelle loro necessità quotidiane e nelle loro aspirazioni coscienti o inconsce, tutti gli elementi della loro futura organizzazione naturale, noi cerchiamo questo ideale nel popolo stesso; siamo convinti che il popolo potrà essere felice e libero solo quando organizzandosi dal basso in alto per mezzo di organizzazioni indipendenti assolutamente libere e al di fuori di ogni tutela ufficiale, ma non fuori delle influenze diverse e ugualmente libere di uomini e di partiti, creerà esso stesso la propria vita” (Stato e anarchia, Feltrinelli).
La rivoluzione delle smart cities non sarà quindi solamente una rivoluzione tecnologica, ma in primo luogo una rivoluzione sociale, delle persone: la localizzazione del potere e la distribuzione diffusa delle risorse secondo il modello di organizzazione cellulare si fondano sulla responsabilizzazione delle persone e sulla certezza che il desiderio di collaborare e partecipare non sia meno forte e radicato nelle persone rispetto che gli istinti di egoismo e individualismo.
Fall in love with Bottom-Up! Spread the Spread Culture! Be a Smart Citizen.